Charlie Bronson rapper romano classe ’89 è l’autore di “Pegaso”, il nuovo brano dedicato al suo TMax rubato tempo fa lasciandogli una grande nostalgia. “Pegaso” così diventa una sorta di dedica d’amore a ciò che è perso, ma che nonostante tutto è riuscito a lasciare il segno. Il nuovo singolo di Bronson si fa quindi simbolo della ricerca della semplicità nella vita e della genuinità dei traguardi raggiunti.
Una moto può essere di famiglia? Per Bronson sì, ma può rappresentare anche l’emblema dei propri raggiungimenti personali ed il mezzo attraverso il quale si manifesta un senso di libertà. A Now We Rise, Brenson ha raccontato il suo brano “Pegaso”!
“Pegaso” si pone come un elogio a un TMax a tutti gli effetti. All’apparenza potrebbe sembrare una dedica materialista, invece emerge la componente romantica. Confermi?
Assolutamente! Per me il Tmax era molto più di un mezzo, fu il primo oggetto importante che mi comprai con i miei soldi guadagnati lavorando. Per come la vedo io quando un ragazzo riesce a conquistarsi qualcosa di significativo con le sue forze è segno che sia diventato o stia diventando uomo, ragionando in questi termini è stato proprio il mio Tmax a rendermi uomo. Tra l’altro il Tmax è un mezzo abbastanza accessibile, quasi chiunque può permettersene uno usato, pur rimanendo di tendenza, una cosa semplice ma “fica”:io su Pegaso mi sentivo come se guidassi un Ferrari.
Rispetto ai brani precedenti, i sound di “Pegaso” sembrano ridimensionati verso una scelta più pop. Cosa ci aspettiamo dai prossimi progetti?
La tendenza è questa, al netto del rap vengo da anni di coro e cerco sempre di inserire del cantato nei miei brani quando ben contestualizzato, mi piace pensare di fare una sorta di ibrido tra rap, pop e musica elettronica. Le mie contaminazioni sono tante a partire dal cantautorato italiano, passando per la techno e ovviamente l’hip hop. Sicuramente la direzione è quella, ma ritengo che il mio sia un progetto in continua evoluzione, ad ogni singolo su cui lavoro scopro qualcosa di me che non avevo ancora scoperto o metabolizzato.
Si dice che spesso i rapper pecchino di umiltà. Nella tua musica, invece, si ascolta un attaccamento alle cose semplici e alle origini.
Beh non sono proprio un umile, la deformazione da rapper con egotrip e tutto ciò che ne consegue vale anche per me, quando scrivo un freestyle rappato emerge chiaramente questo lato più hiphop del mio carattere, diciamo che nei singoli cerco di scavare più a fondo di quanto non possa fare una punchline ed esce fuori questo aspetto più intimista e personale. Essendo una persona semplice con un carattere complicato il risultato è (almeno spero) una musica semplice che trasmette dei concetti umani e possibilmente non banali.
Quali sono i contenuti che prediligi per la creazione dei tuoi testi?
Mi rifaccio alla radice di ogni testo rap, parlo di me stesso, della mia quotidianità, delle mie esperienze passate e delle mie aspettative e paure future, ovviamente con la speranza che ci si possa rivedere il maggior numero possibile di persone. Però sono anche dell’idea che una canzone non debba avere per forza un messaggio razionalizzabile, va bene anche solo far alzare un sopracciglio, colpire la pancia, insomma far provare qualcosa. Per me la musica è un rumore emozionante e la maggior parte delle emozioni che proviamo non abbiamo idea della radice che hanno, a volte basta un semplice suono (possibilmente bello).
Da dove deriva il nome Charlie Bronson?
Bronson è un soprannome che va oltre la musica, nasce da una storpiatura del mio cognome fatta dai miei amici storici, da Baroncini a Baronco, poi Bronco e infine Bronson. Charlie invece viene dal nomignolo con cui sempre i miei amici ogni tanto mi mettevano in mezzo. Penso che chiunque abbia un soprannome fico e uno scherzoso, il mio era Carlo; non ho ancora capito perché Carlo e non qualsiasi altro nome, ma tant’è. Quando ho scoperto che esisteva un detenuto famosissimo che si chiamava Charlie Bronson il nome d’arte è venuto da solo. Ho unito il soprannome con cui mi chiamavano con rispetto a quello con cui mi prendevano in giro.